Testimonianze







Lei fu scelta perché nel suo corpo rimanessero visibili i segni di quella passione che tutta la piccola comunità di Mogadiscio ha vissuto nell’arco di dieci anni d’incertezza, anarchia, e violenza.

Il martirio di Suor Leonella ha, per me, un significato profetico molto forte per due ragioni:
Primo, fu il culmine della sua donazione incondizionata al Signore, compiuta giorno dopo giorno con quella sua convinzione di “vivere la Missione per tutta la vita e fino a dare la vita”. Nei sei anni che svolse il ruolo di superiora regionale in Kenya, la udii ripetere questa frase moltissime volte come un ritornello preferito e certamente era l’espressione del suo progetto di vita.
Ricordo, al riguardo, due episodi. In una delle sue visite alle missioni come superiora regionale, viaggiava con una sorella sulla Land Rover che era guidata dal nostro autista. Aveva preso posto nella parte posteriore della macchina, fra casse e pacchi lasciando alla sorella che viaggiava assieme, il posto vicino al conducente. Era solita scegliere per sé ciò che era più scomodo per lasciare il meglio agli altri. A un certo punto del viaggio, per evitare il peggio in uno scontro con un camion, l’autista fu costretto ad una improvvisa, forzata manovra che provocò un forte scossone alla macchina e ai passeggeri. La sorella che viaggiava davanti soffrì una lesione al braccio. Suor Leonella rimase molto addolorata per non essersi trovata lei al posto dell’infortunata sorella. Da quel giorno scelse di viaggiare sempre nella parte anteriore della macchina per evitare che altre fossero esposte a qualche pericolo.
Negli anni ‘90 in Kenya perdurava una grande instabilità politica caratterizzata da gravi disordini e uccisioni con l’espulsione violenta di tribù da territori di altre tribù. Nel 1997 la nostra parrocchia di Likoni-Mombasa era diventata punto di riferimento e rifugio per famiglie intere di profughi riversatisi nel “compound” della chiesa. I missionari e le sorelle si erano organizzati per dare aiuto e protezione alla gente, chiedendo anche l’aiuto della Polizia.
In quell’emergenza Suor Leonella era arrivata da Nairobi per sostenerci e aiutarci nel prestare assistenza alla popolazione sfollata, sapendo che, a causa della violenza scatenatasi, il rimanere lì comportava rischiare la vita. Quando Suor Leonella dovette ripartire per Nairobi noi la salutammo all’ingresso della missione, il mattino presto. Il giorno dopo la sua partenza, presso il portone di entrata alla missione, ci fu una sparatoria che causò la morte di vari civili. Erano le 7:30 circa del mattino, la stessa ora, lo stesso luogo in cui, il giorno precedente, noi ci si trovava lì a salutare Suor Leonella. Informata poi dell’accaduto, commentò con quella sua disarmante naturalezza: “Se fosse successo ieri quando ci trovavamo proprio lì, avremmo potuto salvare, con la nostra vita, quella di altre persone”.
Secondo, se nella sua personale relazione con il Signore lei maturò la convinzione che per il Regno era chiamata a donare la sua vita, non si può negare che l’esperienza del martirio che visse la nostra sorella, si deve leggere nel contesto della piccola comunità che in terra somala ha fatto del martirio silenzioso e quotidiano il suo stile di vita, donando goccia a goccia il proprio sangue, al fine di rendere presente l’amore di Dio in mezzo ai poveri. Lei fu scelta perché nel suo corpo rimanessero visibili i segni di quella passione che tutta la comunità ha vissuto nell’arco di questi anni d’incertezza, anarchia, e violenza.
Tutte noi che abbiamo avuto il privilegio di conoscere Suor Leonella, abbiamo certamente molto da raccontare dei nostri incontri con lei, molto da dire della sua personalità così ricca di doni spirituali e intellettuali. Era una missionaria di ampia visione, capace non solo di sognare, ma di trasformare in realtà i sogni, con la sua tenacia, caratteristica sua molto peculiare. Per lei non c’era nulla di difficile o impossibile, specialmente se si trattava di agire in favore dei più poveri e bisognosi; prova ne è anche la Scuola per infermieri in Somalia. Altra caratteristica sua fu la capacità di creare rapporti profondi di amicizia che però non erano mai escludenti di altre sorelle, ma finalizzati all’emulazione e sostegno nel cammino della santità. Vale la pena ricordare qui la limpida e trasparente amicizia con Suor Sharon de Blois, con Suor Stefana Foschi, con Suor Efrem Massano e con altre sorelle con cui trovava affinità per una sensibilità spirituale profonda.
Firmato: Suor Luz Helena Jimenez Salazar. 
                                   




In San Bartolomeo, sull'Isola Tiberina, a Roma 
il ricordo del martirio di Suor Leonella

Suor Leonella Sgorbati, appartiene all’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata.
Nata a Gazzola, Piacenza il 9 dicembre 1940, si consacrò a Dio come missionaria nel 1965. Si preparò professionalmente nel campo infermieristico diventando infermiera, ostetrica, caposala, insegnante nella Scuola  per Infermieri.
Destinata al Kenya, visse la sua missione all’insegna di una radicalità evangelica che non conosce ostacoli,  a servizio dei poveri, degli ammalati e specialmente di mamme e bambini che affollavano ambulatori e ospedali. I giovani furono la sua passione, sempre. Come insegnante nelle scuole per infermieri li accoglieva, li orientava e li preparava con grande abilità professionale e con cuore di mamma. Questo per 36 anni in Kenya e poi, negli ultimi quattro anni anche in Somalia. Qui, con un piccolo gruppo di uomini e donne coraggiosi che non abbandonarono al suo destino il Paese straziato da una guerra senza fine, ebbe il coraggio di sognare e realizzare una scuola per infermieri.
Sapeva molto bene che stando a Mogadiscio rischiava la vita, eppure rimase al suo posto assieme al minuscolo drappello di consorelle che si prodigavano a servizio dei più poveri e abbandonati.
Suor Leonella era una donna innamorata di Dio, appassionata per Cristo e per l’umanità, che sapeva  farsi carico della sofferenza della gente e delle sue aspirazioni verso un futuro migliore.
Conosceva la forza della Croce e della Risurrezione, ne viveva il  mistero, valorizzava la vita e la sofferenza in tutte le loro forme. Era mite, umile, misericordiosa, capace di “diminuire perché l’altro cresca”, costruttrice di pace, di riconciliazione, di comunione.
Accoglieva gli insegnamenti forti ed autorevoli del Fondatore e li viveva senza mezze misure:
 “Bisogna avere tanta carità da dare la vita. Noi missionari siamo votati a dare la vita per l’umanità”. Erano parole che al suo orecchio suonavano come un imperativo, che la rinnovavano ogni giorno nella sua fedeltà a Dio, che la rendevano capace di donare tutto con quella positività, entusiasmo e dinamicità, con quel suo cuore aperto agli altri senza misura, con quella gioiosa passione per la vita che caratterizzava ogni momento della sua esistenza.
“Dare la vita”, Missione e martirio: parole che costituivano un “mandato”, che dominavano e orientavano tutta l’esistenza di suor Leonella. Con fiducia e senza timore  le proponeva alle sue consorelle quando ne ebbe la responsabilità come superiora di circoscrizione, e che faceva entrare audacemente anche nella formazione dei suoi giovani infermieri e infermiere.
Aveva scritto: “Spero che un giorno il Signore, nella sua bontà, mi aiuterà a dargli tutto … o …se lo prenderà … perché lui sa che questo realmente lo voglio, Lui sa!”.
Parole profetiche che si compirono nell’evento del suo martirio, da lei preparato durante tutta la vita, accolto coraggiosamente come dono di Dio e coronato da un gesto supremo di amore verso chi le toglieva la vita, così come il Maestro aveva fatto.

Erano le 12:30 del 17 settembre 2006. Suor Leonella aveva terminato la lezione alla Scuola Infermieri presso l’ospedale e si stava dirigendo al Villaggio SOS situato dall’altra parte della strada.
Data la situazione a rischio, abitualmente cinque guardie presidiavano l’ospedale: due presso il cancello dell’ospedale, due presso il Villaggio e una accompagnava le suore nei loro spostamenti. A circa quattro metri dal cancello dell’ospedale, due uomini armati fecero fuoco contro suor Leonella e la sua guardia del corpo, Mohamed Mahamud, papà di quattro figli. La sorella fu raggiunta da sette proiettili, la guardia del corpo da altri che furono mortali.
Le consorelle che si trovavano in casa, udita la sparatoria si precipitarono sul luogo e trovarono  suor Leonella ferita gravemente mentre veniva portata in barella in sala operatoria. Il personale dell’ospedale donò volentieri il sangue per le trasfusioni, ma a motivo delle gravi emorragie, purtroppo non valsero a nulla.. All’arrivo, il chirurgo constatò che non vi era più alcuna possibilità di salvarle la vita. Sr. Leonella era cosciente, ed ebbe ancora il conforto di avere accanto le  sorelle che  le stringevano le mani, pregavano e offrivano con lei..
Mentre si spegneva, con un fil di voce ripeté: “Perdono, perdono, perdono!”.
Fuori dell’ospedale molta gente era accorsa. In silenzio, con gli occhi bassi diceva tutto il suo amore per suor Leonella e il dolore per quanto era successo. 
Firmato: Madre Gabriella Bono


Suor Leonella e alcuni alunni


Si avvicina il ricordo del martirio, testimonianza di suor Joan Agnes Njambi Matimu

Avevo conosciuto Suor Leonella quando avevo 18 anni, nella scuola di infermieristica. In seguito è stata superiora regionale in Kenya negli anni della mia formazione iniziale. Durante questi vent’anni ho scoperto chi era Suor Leonella, prima come insegnante e poi come consorella e superiora.
La sua morte improvvisa mi ha richiamato tanti ricordi di momenti forti vissuti insieme: momenti di gioia, di sofferenza, di festa, di incertezze, momenti vissuti da lei con tanta fede e fiducia in Dio. Leonella ha vissuto la sua vita e la sua consacrazione con grande intensità e amore, ha cercato di incoraggiare chi le stava accanto a fare lo stesso. Vorrei condividere non solo qualcosa di quello che ho scoperto di lei nell’arco di quegli anni, ma anche le proposte e le sfide che mi venivano dal suo esempio.

Donna di Dio: Era molto chiaro per Suor Leonella il significato di essere una donna consacrata a Dio, che apparteneva totalmente a Lui e data tutta a Lui, proprio come e dove voleva Lui.. Questa appartenenza al Signore non era per Suor Leonella solo un grande dono per il quale si sentiva incapace di ringraziarlo adeguatamente, ma era anche la fonte di tanta gioia, la gioia di sentirsi la sposa di Cristo.

Una donna con grande cuore: II cuore di Suor Leonella era più grande di lei. Quando c’era qualcuno nel bisogno, non si risparmiava. Ricordo l’impressione che ebbi quando ancora mi trovavo nella scuola per infermiere: una nostra compagna era a letto con febbre. Suor Leonella con tanto amore e delicatezza la visitava a tutte le ore portandole medicine, bevande e cibo secondo il bisogno.

Una donna energica, coraggiosa e rispettosa: Leonella aveva tanti sogni, però il punto di partenza era sempre la persona. Non si occupava di gruppi grandi, ma della "persona". In scuola a Nkubu eravamo tante, ma ciascuna di noi si sentiva privilegiata per avere un rapporto particolare, molto personale con lei.
Quando insegnava, era attenta ad ogni studente e non andava avanti finché l’argomento non fosse chiaro per tutti. 
Ricordo la sua sofferenza quando, mettendo in atto le decisioni della Conferenza del Kenya, dovette procedere alla chiusura di tante comunità, e quando, avvertendo che il Signore chiamava la Regione a intraprendere nuovi cammini missionari si iniziò il servizio negli slums con stili di vita, più semplici, più poveri, meno efficienti, di più intensa preghiera e abbandono alla Provvidenza. Erano decisioni difficili perché non sempre comprese e condivise da tutte. Allora con rispetto sapeva tacere e attendere il tempo di Dio. Quando però la volontà di Dio era manifesta, procedeva.
In comunità Suor Leonella apprezzava il valore di ogni sorella. Conosceva il ruolo di ciascuna, le capacità e i limiti. Era convinta che ogni persona è importante nella comunità e possiede qualcosa di peculiare da offrire agli altri.

Una donna molto intelligente: Leonella era una donna di un’intelligenza eccezionale. Aveva una capacità di semplificare anche i concetti più complessi usando un linguaggio chiaro e semplice. Arrivava abitualmente in classe recando con sé molti libri che però usava raramente perché il suo insegnamento fluiva spontaneamente dalla formidabile sua memoria. Insegnava con passione. Le sue materie preferite erano: Anatomia, Fisiologia, Ostetricia. I testi di Anatomia e Fisiologia dovevano essere per noi come una seconda Bibbia perché mostravano le meraviglie create da Dio, diceva lei. Il suo insegnamento non era finalizzato alla scuola, agli esami, ma alla nostra formazione di infermiere cristiane. Ci inculcava un profondo rispettò per la vita e, al riguardo ci diceva che, assistendo le mamme, al momento del parto ci mettessimo in ginocchio, se era possibile, come espressione di gratitudine a Dio per averci scelte a presenziare a un sì grande mistero.

Una donna molto sensibile: Suor Leonella era una persona che trovava gioia nelle piccole cose. Bastava poco ad accontentarla e la sua litania di grazie non finiva mai. Aveva un grande senso di "humor", godeva di barzellette e scherzi e, allo stesso tempo, era facile a commuoversi, a piangere. Spesso veniva in noviziato a riflettere con noi sulle circolari della Madre generale o sulla parola del Fondatore. Si appassionava tanto in quello che diceva che a volte finiva in lacrime.

 Grazie Suor Leonella, per tutto ciò che sei stata per me nella vita, per tutti noi studenti infermieri, per tutte le giovani Suore della Consolata. Mi hai insegnato ad essere una donna consolatrice prima ancora di essere missionaria della Consolata. Mi sei stata sorella maggiore, da te sempre accolta e compresa; mi hai sfidato a crescere, sempre pronta a porgermi aiuto come una mamma che sa come dare la vita.
Grazie per l’ultima lezione che mi hai dato: che è possibile amare il Signore con tutto il cuore fino a dare la vita, che la santità è possibile ma che non si improvvisa, che è un cammino in cui si deve avanzare ogni giorno.
Grazie perché anche dopo la tua morte ti sento più vicino che mai, convinta che continuerai ad essermi sorella maggiore, compagna nel cammino di fedeltà per te già concluso così coraggiosamente. Grazie, Suor Leonella, grazie.









Copertina del libretto dedicato a suor Leonella per la collana “I Santi in tasca”.

 Di Barbara Sartori

Il gesto di perdono di suor Leonella non è nato dal nulla. È frutto di un cammino di donazione durato tutta la sua vita, più della metà della quale spesa in Africa. A ripercorrerlo è il nuovo libretto “Suor Leonella Sgorbati. Il coraggio del perdono”, che Barbara Sartori ha scritto per la collana “I Santi in tasca” edita dalla Nuova Editrice Berti e da Il Nuovo Giornale. Di formato tascabile, tutto
a colori, arricchito dalle illustrazioni di Renato Vermi, “Perché sorridi anche a chi non conosci?”. “Perché così chi mi guarda sorriderà a sua volta. E sarà un po’ più felice”.
Era il sorriso il biglietto da visita di suor Leonella Sgorbati. Un sorriso contagioso, capace di trasmettere fiducia anche nelle situazioni più spinose.

Dalla campagna piacentina, passando per la periferia di Milano, fino in Kenya e nella martoriata Somalia, suor Leonella ha imparato, giorno dopo giorno, a sognare in grande, sperando contro ogni speranza. “Artigiana di pace”, l’ha definita Benedetto XVI all’Angelus, pochi giorni dopo che una raffica di colpi ha spento il suo sorriso una domenica di settembre del 2006 a Mogadiscio.
 “Perdono, perdono, perdono”: le parole di suor Leonella in punto di morte sono – ha commentato il Papa – “l’autentica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che dimostra la vittoria dell’amore sull’odio e sul male”.

Per l’Africa perché dell’Assoluto “C’è una pallottola con scritto sopra il mio nome e solo Dio sa quando arriverà”, diceva suor Leonella a chi le domandava come andavano le cose, laggiù in Somalia. Paura, sì, ce l’aveva. “Ma - aggiungeva subito -,come si fa ad abbandonare quella gente?”.

Nata il 9 dicembre 1940 a Rezzanello, era stata battezzata con il nome di Rosa Maria, ma per tutti era semplicemente Rosetta. Allegra, piena di iniziativa, tenacia fino alla cocciutaggine quando si trattava di fare del bene, Rosetta sin da ragazza coltiva nel cuore il desiderio di diventare missionaria.
Lo sarà già in Italia, a Sesto San Giovanni, dove la famiglia si trasferisce nel 1950. Quindi nei primi anni di studio in Inghilterra e, infine, in terra africana.
Suor Leonella era una donna piena di entusiasmo, che amava la compagnia e lavorare in squadra. Ma, soprattutto, era una donna che amava la vita e che della vita si era messa al servizio. Come ostetrica, accanto alle mamme e ai neonati – circa quattromila – che aveva aiutato a venire al mondo. Come insegnante dei futuri infermieri, attenta che la competenza fosse arricchita da quell’umanità che tanto vale quando ci si accosta al mistero della sofferenza. Come responsabile delle Missionarie della Consolata del Kenya tra il ‘93 e il ‘99, sempre in viaggio per spronare le consorelle al dono di sé. E infine nell’ultima sfida, in Somalia, col nuovo corso per infermieri a colmare un vuoto ultradecennale nel sistema sanitario, fatto saltare – come il resto dei servizi del Paese – da un endemico stato di guerra civile. Qui, con l’ong “SOS Villaggio dei Bambini”, dal 2001 stava lavorando per garantire un’opportunità ai giovani somali in uno Stato tuttora allo sbando. La sua morte ha causato - per motivi di sicurezza – anche la partenza della minuscola comunità di Missionarie della Consolata a Mogadiscio. Ma le suore non si sono arrese: sono pronte a rientrare in qualsiasi momento. “Sono per l’Africa nella misura in cui sono dell’Assoluto”, era solita ripetere suor Leonella. Dono per gli altri, perché donata senza riserve a Dio: sta qui la sua forza. E il segreto del suo desiderio di donare tutto: tempo, energie, competenze, disponibilità. Fino al dono totale, quello della vita.







La Serva di Dio Suor Leonella Sgorbati


Il perdono è come il coraggio: se non ce l’hai dentro non lo puoi improvvisare. Perché a perdonare, come a superare le paure, si impara giorno per giorno. Ne sa qualcosa suor Lonella Sgorbati, che, proprio per aver esercitato un perdono eroico, è adesso “candidata” alla beatificazione. Nasce a Gazzola, nel piacentino, nel 1940 e a 16 anni confida a mamma di voler andare missionaria. “Ne riparleremo quando avrai 20 anni”, commenta mamma; ma la ragazza non cambia idea. Entrata nelle Missionarie della Consolata, fa il noviziato a Sanfrè (in provincia di Cuneo), poi va in Inghilterra a studiare da infermiera e solo nel 1970 realizza il suo sogno volando in Kenya. Come ostetrica sembra abbia fatto nascere 4000 bambini; ma questi continuano a nascere nel suo nome anche ora che lei non c‘è più, perché ha trovato il tempo di far nascere molte scuole per infermiere ed ostetriche.
“Dovremmo avere per voto di servire la Missione anche a costo della vita. Dovremmo essere contente di morire sulla breccia... ”, diceva il fondatore della Consolata, il beato Allamano. Lei, che lo ama molto e che ne studia la spiritualità per incarnarla nella propria vita, scrive: “Io spero che un giorno il Signore nella sua bontà mi aiuterà a darGli tutto o... se lo prenderà... Perché Lui sa che questo io realmente voglio”. Questo suo “dare tutto” passa attraverso il suo “amare tanto”, si concretizza nell’ “amare tutti” e si traduce nel “perdonare sempre”, anche attraverso le fragilità di ogni giorno. Lo testimonia oggi una consorella tanzaniana, da lei educata al perdono nel momento tragico della morte violenta del proprio fratello: “sei tu che devi cominciare a fare questo gesto di perdono, non aspettare che tuo fratello si scusi”, le dice, facendo chiaramente intendere che in questo si sta esercitando, lei per prima, da tanto tempo. A casa sua e in tutte le missioni in cui passa, sono pronti a giurare che il suo biglietto da visita è il sorriso. Se le chiedono: “Perché sorridi anche a chi non conosci?”, invariabilmente risponde: “Perché così chi mi guarda sorriderà a sua volta. E sarà un po’ più felice”.
Dal 2001 inizia a fare la “pendolare” tra il Kenya e la Somalia dove la sua presenza è stata richiesta dai Superiori, per iniziare anche qui una scuola per infermieri. Trova un paese dilaniato da 10 anni di guerra civile, segnato da anarchia, carestia, morti senza numero, campi profughi, banditismo ed in cui, di conseguenza, si è radicato un fondamentalismo religioso che considera i missionari cattolici, specie se bianchi, obiettivo privilegiato. Suor Leonella sa che per lei e le consorelle è pericoloso anche solo attraversare la strada, e ne ha paura, com’è normale: “C’è una pallottola con scritto sopra il mio nome e solo Dio sa quando arriverà”, ma con la forza della fede aggiunge sempre: “La mia vita l’ho donata al Signore e Lui può fare di me ciò che vuole.” Il vescovo di Gibuti è solito dire che il cuore di suor Leonella è più grande del suo fisico, pur imponente e “rotondetto”.
E proprio questo grande cuore viene spaccato il 17 settembre 2006 da una pallottola, sparata a distanza ravvicinata, da due uomini che l’attendono mentre rientra a casa dall’ospedale, che si trova dirimpetto. Tra lei e le pallottole omicide cerca di frapporsi Mohamed Mahamud, un musulmano, padre di quattro figli, che la sta scortando in quel brevissimo tragitto. Anch’egli viene ucciso e il sangue del musulmano si mescola in un’unica pozza con quello della missionaria cattolica. “Cristiani e musulmani che cercano di condividere la vita devono mettere in conto la possibilità di unire il proprio sangue nel martirio”, scrivono in quei giorni. Difatti, non si tratta di una semplice coincidenza: “per me la morte di una italiana e di un somalo, di una cristiana e di un musulmano, di una donna e di un uomo, ci dice che è possibile vivere insieme, visto che è possibile morire insieme! Per questo il martirio di suor Leonella è un segno di speranza”, dice il vescovo.
All’ospedale fanno di tutto per salvarla, i somali vanno a gara per donarle il loro sangue, esattamente come lei aveva fatto per loro, puntualmente, ogni tre mesi, come donatrice di sangue. Prima che si spenga come una candela, la consorella che le tiene la mano la sente sussurrare distintamente: “Perdono, perdono, perdono”. Sono le sue ultime parole, la sua firma sopra il proprio martirio. Ora “il cielo è senza stelle” dicono i somali quando sanno della sua morte; per noi, invece, tra breve ci sarà forse una stella in più nella costellazione dei Santi Martiri.
Autore: Gianpiero Pettiti






Dalla sorpresa dei genitori di fronte alla sua vocazione,
alla «paura» di non potere più tornare nella sua Africa:
il percorso umano e cristiano della suora martire della Consolata.
Suor Leonella, le radici di un dono
In un libro, la storia della religiosa uccisa in Somalia l'anno scorso.
Il sangue di suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata uccisa a Mogadiscio a colpi di arma da fuoco il 17 settembre dell'anno scorso, ha bagnato la stessa terra di Somalia su cui era già stato versato quello di monsignor Salvatore Colombo, eliminato con un colpo al cuore nel cortile della cattedrale, di Graziella Fumagalli, medico al servizio della "Caritas Italiana", di Annalena Tonelli, missionaria laica che guariva folle di tubercolotici. Tutti assassinati come martiri, nel senso più vero di un termine che significa innanzitutto "testimoni": anche suor Leonella, al secolo Rosa Maria, nata nel 1940 a Rezzanello, nel Piacentino, aveva fatto della sua vita una storia di testimonianza, spesa per oltre un trentennio in quell'Africa che ormai sentiva la sua terra e in cui ha voluto essere sepolta. Aveva 16 anni quando comunicò a sua madre l'intenzione di servire Dio e gli uomini come missionaria, «ne riparleremo quando ne avrai 20» si sentì rispondere, e imperturbabile, quattro anni dopo, si presentò all'appuntamento: «Ho 20 anni e non ho cambiato idea»,le disse.
Seguirono intensi studi in Inghilterra e in Africa per diventare infermiera e specializzarsi nell'arte medica. Per farlo, scelse di entrare tra le "Missionarie della Consolata", fondate dal beato Giuseppe Allamano, che non a caso aveva lasciato scritte queste parole: «Noi missionari siamo votati a dare la vita per l'umanità. Dovremmo servire la missione anche a costo della vita, contenti di morire sulla breccia». Parole che suor Leonella prese alla lettera, senza eroismi, con serena consapevolezza.
Impariamo a conoscerla così, di giorno in giorno, attraverso i fatti concreti e i suoi scritti, ma anche i tanti racconti di chi lavorò al suo fianco, tutti riportati in un libro di Eugenio Fornasari, il cui titolo riassume le due coordinate dell'universo missionario della religiosa: «Sacrificio e Perdono»(edizioni "Agami"). In quelle pagine incontriamo un'infanzia segnata dalla morte prematura dell'amato padre, i ricordi di amici e parenti, i primi passi di una vocazione sempre sicura: «L'unica sua paura era quella che la congregazione la richiamasse in Italia», dice il cugino Giuseppe. E l'anziano parroco di Rezzanello, don Francesco Bonzanini, spiega: «Preferiva rinunciare alle vacanze in Italia per il timore che non la lasciassero più ripartire».
Eppure, donna concreta e pragmatica, conoscitrice del mondo e dei suoi abissi, era del tutto conscia dei pericoli cui andava quotidianamente incontro, come si desume dalle righe più intime, quelle scritte alle amiche o consorelle in Italia, mentre faceva «la pendolare» tra Kenya e Somalia: «Noi suore andiamo all'ospedale "S.O.S." di fronte al villaggio scortate da ben due guardie - racconta all'amica Maria esattamente il 16 settembre del 2005, un anno prima del suo assassinio - . Questo ti dice qualcosa circa la situazione... Qualche anno fa una nostra suora è stata rapita ma poi rilasciata dopo alcuni giorni perché le donne, saputo il luogo dove la tenevano, hanno circondato la casa e mantenuto l'assedio per giorni e notti...». Lo avrebbero fatto di certo anche per lei, e non solo le donne: le suore della Consolata erano venerate dalla popolazione somala, come dimostrano i documenti riportati con dovizia di particolari dall'autore del libro, "classe 1915", conterraneo della religiosa, sacerdote paolino, giornalista, scrittore con 41 titoli al suo attivo, biografo convinto che nei santi esista quella sinergia unica e irripetibile tra la volontà e la grazia. Lo avrebbero fatto anche per lei - dicevamo - ma non ne hanno avuto il tempo: suor Leonella non è stata rapita, le hanno sparato sette colpi di pistola, uno dei quali le ha lacerato il cuore. È morta dissanguata insieme a quello che padre Fornasari chiama il suo "angelo custode", il musulmano Mohamed Mahamud, guardia del corpo, che si gettò tra lei e gli spari perdendo la vita e lasciando quattro orfani.
Difficile ammettere che quella di suor Leonella Sgorbati alla fine è una storia "bella", eppure è così: sarà la serenità, persino l'umorismo con cui andava incontro alla vita, sarà il bene profondo in cui tutto ciò che la toccava si convertiva... fatto sta che ciò che resta, alla fine della lettura, non è il sapore amaro di un dramma ma quello consolante di una speranza che è sempre in agguato e ci attende dove meno ci si aspetta. «Suor Leonella e Mohamed lasciano un messaggio - ricorda l'autore - : cristiani e musulmani che cercano di condividere la vita devono mettere in conto la possibilità di unire il proprio sangue nel martirio».
Alla sua morte Papa Benedetto XVI usò la parola «sacrificio». I somali che la amavano parlarono di «un cielo senza più stelle». Chiamava «sogni» le sue due creature, l'unico ospedale pediatrico di tutta la Somalia e la scuola per infermieri professionali riconosciuta dall'"Oms", che ha già creato il primo gruppo di giovani diplomati. Ma il suo obiettivo più grande era spendersi per gli altri: «Non abbiamo che una vita da donare - ripeteva - ,doniamola senza esitare: chi dà la sua vita la ritroverà. Dopo la nostra morte solo l'amore sopravviverà». Nel suo ospedale i bambini di Somalia continuano a nascere





Il dono del perdono




"Ho avuto l’opportunità di conoscere Sr. Leonella, quando, ancora ragazza, ero sua allieva nella scuola per Infermiere a Nkubu, nel Meru - Kenya. Oggi vorrei condividere un’esperienza molto significativa per la mia vita, ricordando suor Leonella e la sua grande capacità di perdono.
Nell’anno 2000, mio fratello Andrea fu ucciso da un gruppo armato, sulla strada che va dal mio villaggio, Baragoi, verso Maralal. Una città distante 110 km.
Io mi trovavo in una delle comunità delle Missionarie della Consolata in Kenya, quando ricevetti questa dolorosa notizia. Accompagnata dalle mie consorelle, partii verso Maralal per prendere parte al funerale. Con mia grande sorpresa, quando arrivai Andrea era già stato seppellito nel cimitero dei musulmani. Questa notizia fu per me e per mia mamma, anche lei appena arrivata, motivo di grandissimo dolore. La decisione era stata presa da mio fratello maggiore, convertito all’islam da nove anni. Mia mamma rimase molto sconvolta perchè il tutto era stato fatto senza il suo consenso e all’insaputa di mio padre, rimasto a casa per motivi di salute. Lei voleva a tutti i costi  riprendere la bara dal cimitero musulmano e portarlo nel nostro villaggio, nel cimitero cristiano, dove avrebbe potuto visitarlo in qualunque momento. Io, comprendendo benissimo i sentimenti della mamma e degli altri miei fratelli e sorelle, non sapevo come consolarli perchè anch’io mi trovavo nella stessa situazione di dolore.
Insieme alle mie consorelle e familiari, siamo partiti verso il cimitero dei musulmani, con la speranza che ci lasciassero almeno entrare per pregare sulla tomba di Andrea. Io avevo poca speranza, sapendo che la maggior parte di noi eravamo donne, suore e cristiane... È stato proprio a questo punto che Sr. Leonella mi è stata di grande aiuto, con il suo coraggio, speranza e certezza, sentimenti che potevo ben leggere nei suoi occhi.
Al nostro arrivo nel cimitero mio fratello maggiore, i suoi amici musulmani ed i capi religiosi erano lì ad attenderci. Sr. Leonella chiese gentilmente se potevamo entrare. Il capo rispose che era impossibile, anzitutto perché eravamo donne e neppure le loro donne hanno questo permesso. Inoltre, ci dissero, loro avevano gia fatto tutto:  riti e preghiere secondo la loro fede; la nostra presenza avrebbe rovinato tutto!
Sr. Leonella con serenità rispose loro: “la nostra preghiera non pretende togliere nulla di ciò che avete fatto. Anzi pregheremo nella lingua che voi capite bene” .
Finalmente ci lasciarono entrare a condizione che, la sosta fosse breve e nessuno piangesse. Sr. Leonella guidò la preghiera, semplice ma profonda. Prima di partire Sr. Leonella invitò mio fratello con i suoi amici musulmani a partecipare all’Eucaristia che sarebbe stata celebrata subito dopo, chiedendo il riposo eterno del mio fratello Andrea. Essi accettarono e rimasero in fondo alla Chiesa.
Dopo tutto quanto avevamo vissuto non mi era facile perdonare mio fratello. Sr. Leonella mi invitò a farlo dicendomi: “Lo so che è molto difficile parlartene ora ma è proprio in questo momento che il tuo perdono diventerà un grande dono per il  tuo fratello. Anche lui sta soffrendo cercando il perdono da voi. Egli ha fatto ciò che secondo lui era meglio. La terra dove Andrea è stato seppellito è la stessa terra dove voi lo avreste seppellito. Ricordati: Dio, per accettarci in Paradiso, non tiene in conto in quale cimitero uno è stato seppellito. Tutti siamo suoi”.  Sr. Leonella mi ha aiutata a vedere come il mio perdono avrebbe aiutato gli altri membri della mia famiglia a perdonare e come questo gesto sarebbe stato un dono di pace per i miei genitori, sorelle, fratelli e parenti tutti. Lei mi diceva ancora: “Sei tu che devi cominciare a fare questo gesto di perdono, non aspettare che tuo fratello si scusi, ma offri a lui il  perdono. Costa, ma sarà un dono prezioso per lui e per tutti.”
Il 17 settembre 2006, quando seppi che Sr. Leonella, mortalmente ferita, aveva pronunciato per tre volte la parola “perdono” verso il suo uccisore, non mi stupii. Questo era il suo modo di vivere. Lei,  che aveva saputo perdonare tante piccole cose durante la sua vita, fu capace del grande perdono nel momento supremo della sua vita. Così è salita in Cielo con la corona del martirio.
A Djibouti, dove oggi mi trovo come missionaria con altre Consorelle, siamo impegnate nel dialogo con i musulmani.
Sr. Leonella è diventata per noi uno modello efficace di speranza in questo cammino. Lei era una donna di pace che ha vissuto il dialogo ed ha aiutato altri ad entrarvi. Infatti la morte l’ha trovata impegnata nel cammino del dialogo della vita, attraverso il suo servizio d’amore tra i musulmani.
Vorrei citare le parole di Monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Djibouti e Amministratore Apostolico di Mogadiscio, durante il funerale di Sr. Leonella a Nairobi, riguardo l’uccisione di Sr. Leonella insieme alla sua guardia personale, Mohamed Lui disse:
“Non penso che sia stata una pura coincidenza il fatto che insieme a lei sia morto anche Mohamed  per me la morte di una italiana e di un somalo, di una cristiana e di un musulmano, di una donna e di un uomo, ci dice che è possibile vivere insieme, visto che è possibile morire insieme! Ed è per questo che credo che il martirio di suor Leonella possa essere un segno di speranza.”
Sr. Leonella mi ha insegnato ad offrire il perdono, a non attendere, a non aspettare tempi fissi.  Il tempo è adesso. Mi ha insegnato che il perdono è la forza dei coraggiosi, di tutti quelli che credono nel Dio Misericordioso. Che il perdono è lo strumento della pace. In questo mondo di oggi, distrutto dalla guerra. In questa società dove tendiamo a separarci o ad allontanarci  l’uno dall’altro, la realtà del perdono è fondamentale per creare rapporti di pace. Oggi possiamo dire che il perdono è il cuore dell’amore, senza il quale è impossibile dare ossigeno alla vita.
Sr. Leonella è stata e continua ad essere un dono per noi. Lei è il perdono personificato".

Sr. Redenta Nabei







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